TAMO t’amo!

TAMO… Sembra esser l’inizio o il titolo di una canzone o di una lettera d’amore, di quelle che hai sentito o letto un miliardo di volte e che, in fondo, non ti annoi mai di risentire e rileggere… E invece no! Chi l’avrebbe mai detto che è il nome, acronimo, di uno dei due musei di Ravenna dedicati all’arte del mosaico?
TAMO sta per “Tutta l’avventura del mosaico” perché è proprio un’avventura – quasi amorosa!!! – quella che si vive in questo museo e, più in generale, nel mondo dell’arte musiva perché il mosaico incanta e stupisce e, al tempo stesso, insegna molto come le storie d’amore, bene o male che vadano. E così, quest’anno ad agosto, mi sono ritrovata a vivere la magia del mosaico per le strade di Ravenna – dove quest’arte ha raggiunto negli anni e nei secoli la sua massima espressione – e in luoghi come TAMO. Come l’avventura è di per sé una suggestiva ed accidentale esperienza, così è stata anche la mia visita al TAMO, un luogo che esprime in ogni suo angolo la voglia e l’ambizione di raccon12077504_10206885182520281_1047981418_ntare davvero l’arte musiva, antica e moderna, a 360°. Un luogo che spiega con semplicità e chiarezza che cosa il mosaico è stato ed è, di che cosa è fatto e cosa è stato fatto per conservarlo, in ben cinque sezioni, ciascuna dedicata ad un aspetto ben preciso di quest’arte (le pavimentazioni, i palazzi ecclesiali, le residenze private, i materiali e la storia). Non voglio però dilungarmi troppo sul museo perché dovete vederlo, almeno una volta nella vita… E se non potete o volete, date almeno un’occhiata al sito www.tamoravenna.it!
Voglio invece parlarvi di una singolare esperienza di scambio, anche se un po’ datata, in questo specifico settore tra questa città e la capitale siriana di Damasco in occasione di una mostra organizzata nel 2007 dal titolo “Mosaici d’Oriente. Tessere sulla via di Damasco” (che richiama un po’ l’ispirazione ad aprire questo blog proprio durante il soggiorno ravennate…).
Per purissimo caso sono capitata sul mini-catalogo di questa mostra temporanea, un librettino ricoperto da un sottile strato di polvere che, tuttavia, era messo ben in vista nel bookshop del TAMO, quasi come un piccolo trofeo… Per lo meno questa è l’impressione – molto probabilmente distorta, per mia deformazione profssionale – che ne ho avuto io appena l’ho scorto, quasi mi dicesse “E dai, Paola, comprami… Non lasciarmi qui, su questo piccolo scaffale… Lo sai meglio di me, se tu non mi prendi mi butteranno”… E così eccolo, già tra le mie mani e nei miei occhi ancor prima di uscire dal museo! In un attimo mi sono tuffata in queste forme geometriche e figurate dei mosaici pavimentali della Siria del nord risalenti al V-VII secolo d.C., fatte da sorte di nastri annodati tra loro, sottesi o ancora secanti, decorati in var12053280_10206885182600283_765803631_nia maniera; a questo carattere prettamente geometrico, che sembrerebbe tipico dell’arte musiva orientale ancor più che di quella occidentale, si accompagna anche un repertorio di composizioni di tipo floreale-stilizzato che mi hanno ricordato immediatamente il cosiddetto “arabesco”, uno stile ornamentale spesso usato nell’arte calligrafica ed anche nella ceramica e caratterizzato proprio dal ricorso a forme geometriche o fitomorfi. Il termine deriva dal fatto che lo stile era adoperato, e lo è ancor oggi, per decorare le superfici perimetrali, sia esterne che interne, soprattutto di moschee (e le moschee sono per antonomasia i luoghi di culto che ritroviamo per lo più nei paesi arabi). In realtà questo stile in lingua araba è dettoالتوريق‭ ‬ – at-tawrīq‭ ossia usare come unità-base la foglia o il fiore,‭ ‬privata della sua forma naturale per non dare un senso di debolezza e di morte. In questo modo si conferisce all’immagine una sensazione di esistenza e immortalità, sensazione che in qualche maniera va espressa in una fede, come quella islamica, che è iconoclasta, cioè proibisce le raffigurazioni umane.
Questo ornamento si ritrova proprio in Siria e in Egitto in modo particolare grazie all’intarsio di marmi e tasselli colorati che creano effetti cromatici incredibili, rintracciabili anche nelle stoffe d’arte: non per niente questi due paesi si trovano su quella che un tempo era la Via della Seta (e delle spezie… A cui sarà dedicato il mio prossimo post!), sede di notevoli laboratori tessili. Questa derivazione tessile dell’arte musiva orientale è rappresentata dal mosaico pavimentale che è come un tappeto, un manto che sontuosamente ricopre intere stanze o perfino interi palazzi, in ambito profano e sacro.

Così dai mosaici d’Oriente del TAMO ho fatto un salto indietro nel tempo e nello spazio a una delle mie primissime visite al MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino, la mia città natale, di cui non potrei non esser fiera, da brava arabista e islamista che sono! Averne uno in città, tutto “tuo” è più che una fortuna… Se poi all’interno c’è anche una bella seppur piccola sezione dedicata all’arte islamica, ancor di più lo senti tuo! E proprio qui sono esposti dei bellissimi tappeti, o meglio semplici tessuti (molto probabilmente non erano usati all’origine come tappeti da preghiera, sebbene siano molto simili a questi) che un tempo fungevano da copri-cuscini o da abiti la cui provenienza è l’antica città turca di Bursa, caratterizzati da motivi decorativi molto simili a quelli sopra citati. Manca l’ornamento calligrafico, in quanto essendo poi stati usati nel corso del tempo anche come tappeti da preghiera ed essen12081433_10206885182560282_345570801_ndo spesso le scritte calligrafiche riproduzioni artistiche di versetti tratti dal Corano, non era possibile calpestarli vista la sacralità della parola coranica, in quando divina.

Dalla Siria, all’Egitto, alla Turchia… Fino ad arrivare, seguendo virtualmente l’antica Via della Seta, ai famosi tappeti di Bukhara in Uzbekistan dove la dote nuziale – fatta di oggetti di uso quotidiano come servizio da tè, posate, asciugamani, biancheria varia, pezzi di stoffa per confezionare vestiti, intimo… – viene preparata fin dalla nascita di una figlia femmina e deposta dentro un sunduq (scrigno).
Tra questi oggetti c’è il suzani, un tipo di tessuto lavorato ad ago con decorazioni tribali tipiche del Tagikistan, dell’Uzbekistan, del Kazakistan e di altri paesi dell’Asia centrale il cui nome deriva dal persiano سوزن che significa appunto “ago”. Si tratta di tessuti di solito realizzati su una base in cotone (talvolta di seta) e lavorati a ricamo con fibre in seta o cotone che possono essere di diverse dimensioni a seconda dell’uso come tovaglia, copriletto, federe. I motivi iconografici più popolari dei suzani sono i simboli della luna e del sole, i fiori (in particolare tulipani, garofani e iris), foglie, piante e frutta (specialmente melograni), ma anche pesci e uccelli, proprio come nei mosaici di cui prima.
Ritornando ai tappeti è curioso il fatto che esista un tipo di tappeto noto come “bukhara” che in realtà non veniva prodotto a Bukhara ma dalle tribù nomadi del vicino Turkmenistan. Gli abitanti di Bukhara non erano, infatti, nomadi ma sedentari nonché abili commercianti della Via della Seta. Questi tappeti si potevano trovare nei mercati di Bukhara e nel gergo dei commercianti venivano chiamati con il nome della città in cui si vendevano, non in quella in cui venivano prodotti che resta ancora enigmatica. In Asia Centrale i tappeti si usano oggi sia per coprire i pavimenti sia per decorare i muri, come fossero arazzi. Restano ancora un classico e prestigioso regalo per le nozze. Purtroppo nell’uso quotidiano i tappeti sintetici industriali a basso costo hanno rimpiazzato i tappeti artigianali di produzione locale ed un tappeto di lana o di seta è diventato quasi un lusso accessibile ai ceti ricchi e ai turisti stranieri che acquisterebbero di tutto e di più… Ma di questo e di altri prodotti artigianali a rischio di estinzione parleremo magari in un altro post!
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P.S. Le foto qui riportate sono state scattate al TAMO di Ravenna.

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